martedì 28 ottobre 2014

bacche di biancospino in sciroppo


Descrizione:
Materia prima: bacche di biancospino, sciroppo zuccherino, cannella, chiodi di garofano. Le bacche o drupe sono carnose, di colore rosso-arancio, polpose e morbide. Conservate con lo sciroppo acquistano un sapore dolce e gradevole.
Territorio:
Nella provincia di Pesaro e Urbino, in particolare nei comuni montani.
Preparazione:
Le bacche, raccolte quando sono ancora turgide, vengono lavate, asciugate e messe nei vasi insieme a pezzi di cannella e qualche chiodo di garofano. Ricoperte con sciroppo zuccherino, si sterilizzano per mezz'ora circa a bagnomaria. Il processo di maturazione dura circa un mese; è una classica preparazione autunnale.
Un po' di storia:
Il nome scientifico Crataegus deriverebbe dal greco kratòs = forza, e oxyacantha dal greco oxus = aguzzo e anthos - fiore, a causa delle spine acuminate. il mondo classico non ne conosceva l'uso terapeutico. I Greci lo associavano alla speranza, alla fertilità: era un ornamento delle giovani spose. I romani ne adornavano le culle dei bambini per allontanare gli spiriti maligni. 
I frutti del Biancospino erano impiegati dalle popolazioni preistoriche come alimento. Dalla tradizione contadina delle zone interne deriva questo prodotto che veniva bollito con aggiunta di zucchero e di spezie al fine di ottenere un sapore gradevole e una conservazione prolungata.
fonte:

sorbolino, il liquore di sorbe

Sono in pochi a conoscerla, eppure un tempo la sorba era molto comune tra pastori e contadini.
Marmellate, liquori, maschere di bellezza: dalle sue bacche si ricavano tanti prodotti. Quella che vi proponiamo oggi è una ricetta facile facile per ottenere un ottimo liquore casalingo di sorbe, chiamato Sorbolino. 



» Ingredienti per: Sorbolino, il liquore di Sorbe

Sorbe300 g,
Zucchero300 g,
Acqua0,3 l,
Alcool0,3 l,

» Preparazione di: Sorbolino, il liquore di Sorbe

Tagliare le sorbe mature in 4 parti e metterle a macerare nell'alcool.

Dopo tre settimane, si prepara uno sciroppo con acqua e zucchero: versare gli ingredienti in un tegame e mescolare con un mestolo di legno finchè lo zucchero non sarà ompletamente sciolto.

Una volta raffreddato, unire lo sciroppo alle sorbe in macerazione, puntando a ottenere una gradazione di 40° circa.

Il composto deve essere fatto maturare per una settimana, poi si filtra con carta apposita e si fa riposare per un paio di mesi. 

» I nostri consigli

State attenti a non consumare le bacche di sorba quando non sono perfettamente mature; in questo caso, infatti, gli zuccheri possono trasformarsi in alcool, provocando una certa euforia in chi ne fa uso. 

» Curiosità

Il sorbo (nome scientifico: Sorbus Domestica) è un albero delle rosacee. Originario dell’Europa Meridionale e dell’Asia, cresce spontaneamente in Italia, sulle colline romagnole, nella zona di Talamone, in tutto l’Argentario e nelle macchie della Maremma e della Sardegna.

Viaggiando attraverso i secoli e ripercorrendone la storia veniamo a sapere che già i Romani apprezzavano la tenerezza e la dolcezza della sorba, soprattutto nella preparazione di liquori.
Ce ne parla Virgilio nelle “Georgiche” dov’è illustrata l’usanza di far fermentare questo frutto col grano, ottenendo la “cerevesia”, una bevanda alcolica simile al sidro.

Nelle leggende popolari la sorba matura è considerata un portafortuna.
Tutto merito delle sue intense e brillanti sfumature rosse che si credeva avessero la magica virtù di allontanare povertà e miseria. E ancora oggi i boschi di sorbo sono ritenuti propizi per la caccia, perché riserva di abbondante selvaggina.

I suoi fiori, di colore bianco, riuniti in corimbi, sbocciano sui rami in maggio.
All’inizio dell’autunno sono sostituiti da pomi di forma tondeggiante o piriforme, le sorbe, commestibili solo quando sono molto mature.

Ne esistono diverse varietà: c’è la “sorba-mela” rossa, grossa, meno aspra delle altre; abbiamo poi quella “a pera” o “a zucchetta”, di colore bianco o rosso pallido, impiegata prevalentemente nella concia delle pelli.

Ricca di sostanze pectiche e tanniche, acidi organici (specialmente acido sorbico, malico, citrico e tartarico) e sorbitolo (o sorbite), la sorba è ottima per preparare marmellate e, previa fermentazione, bevande alcoliche. Gradevoli i suoi decotti nella stagione invernale.

Con la polpa dei frutti maturi si possono ottenere, invece, ottime maschere detergenti, tonificanti e riequilibranti, adatte sia a pelli precocemente invecchiate per attenuare le piccole rughe comparse, sia a pelli irritabili per lenire le parti infiammate. 

fonte:

sabato 25 ottobre 2014

i vari usi del biancospino

La pianta del biancospino, nome scientifico Crategus Oxyacantha Crataegus, è un arbusto comune appartenente alla famiglia delle Rosacee che cresce spontaneamente in Europa e nel bacino mediterraneo. Il biancospino produce delle bacche di color verde che alla fine dell'estate diventano color rosso acceso.
Nonostante la sua bassa statura questo genere di pianta può superare i 10 metri di altezza e può raggiungere anche i 400 anni di vita; pur prediligendo terreni fertili è possibile trovare il biancospino in terreni pietrosi.

E' possibile distinguere il biancospino comune da quello selvatico solamente osservando l'interno delle sue bacche, infatti il biancospino comune contiene un solo nocciolo a differenza di quello selvatico che ne contiene due.Il biancospino è dotato di spine acuminate ed è spesso utilizzato per formare siepi ornamentali.

L'estratto di biancospino contiene essenzialmente flavonoidi come rutina, vicemina -1, iperoside, orientina, vitexinae e quercetina; troviamo poi acidi fenolici, precisamente acido clorogenico e acido caffeico, olii essenziali, acido ascorbico,colinatiramina e tannini.

Il biancospino contiene anche sali minerali, in particolar modo il potassio.

Le proprietà terapeutiche del biancospino sono da attribuirsi ai flavonoidi ( quercetina, vitexina, ed iperoside ) ed agli oligomeri procianidinici che esplicano un ruolo protettivo nei confronti delle coronarie.

Proprietà curative e benefiche del biancospino


Possiamo affermare che il biancospino è la pianta del cuore per eccellenza, proprietà questa dovuta soprattutto ai flavonoidi ed ai proantocianidoli; il biancospino provoca una dilatazione dei vasi sanguigni che interessano il cuore, aumentando così il flusso sanguigno verso di esso e diminuendo la pressione arteriosa.
Per questo motivo l'utilizzo dell'estratto di biancospino è molto indicato in casi diangina pectoris, nell'ipertensione arteriosa di origine nervosa e negli stati di iper eccitazione.



Il biancospino apporta benefici al sistema nervoso centrale a livello sedativo e le sue proprietà si sono rivelate utili nei confronti di pazienti eccessivamente nervosi nei quali ha ridotto la tensione e migliorato il sonno. Sui testi classici di fitoterapia sono descritte le proprietà sedative ed i benefici del biancospino; molti manuali di fitoterapia lo consigliano per calmare gli stati d'ansia.

Il biancospino ha anche proprietà antiradicalica, è infatti in grado di "intrappolare" i radicali liberi riducendo così nelle pareti dei vasi sanguigni i depositi di colesterolo. Che dire? Le proprietà ed i benefici del biancospino sono famosi e le tisane ottenute dai suoi fiori, bacche e foglie sono rinvigorenti nei confronti del cuore e dei vasi sanguigni con effetti benefici anche sulla pressione arteriosa: infatti il biancospino è un ottimo stabilizzatore della pressione, alzandola quando è bassa ed abbassandola quando è troppo alta.

L'infuso ottenuto con i fiori o il decotto con i frutti rappresentano un ottimo anti infiammatorio  per bocca e gengive utilizzandoli per risciacqui e gargarismi.

Infuso di biancospino contro l'insonnia


Questo infuso di fiori di biancospino si rivela utile in casi di insonnia, ipertensione e stati generali di ansia:
procuratevi 5 grammi di fiori di biancospino e mezzo litro di acqua, scaldate l'acqua quasi fino al punto di ebollizione e spegnete, dopodiché versatevi i 5 gr. di fiori e lasciateli in infusione per circa 12 minuti, filtrate e bevetene un paio di tazzine da caffè al giorno, possibilmente prima di coricarvi.

fonte:
http://www.mr-loto.it/biancospino.html


liquore di mirto

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il liquore di mirto (licòre de murta in sardo), detto semplicemente mirto o mirto rosso, è un liquore popolare, in Sardegna e in Corsica, ottenuto per macerazione alcolica delle bacche di mirto o di un misto di bacche e foglie. Nell'accezione comune del termine, il liquore di mirto è ottenuto dalla macerazione di bacche pigmentate mature.
A questa tipologia fa riferimento specifico il termine di mirto rosso, per la colorazione conferita dagli antociani delle bacche. Una tipologia differente è il mirto bianco termine generico con cui si indica sia il liquore ottenuto dalla macerazione di bacche depigmentate sia quello meno comune ottenuto dalla macerazione delle foglie di giovani germogli. Quest'ultimo liquore ha caratteristiche organolettiche nettamente differenti dal liquore di mirto propriamente detto.
La denominazione ufficiale, adottata dalla Regione Sardegna e dall'associazione dei produttori, è quella di Mirto di Sardegna.


Aspetti storici

Come per tutte le tradizioni popolari, le origini di questo prodotto sono antichissime. Il liquore ottenuto dalle sole bacche, o dalle bacche e le foglie, fa parte della tradizione popolare di Sardegna, in particolare la qualità rossa, ritenuta la più pregiata, mentre nella vicina Corsica il mirto, (detto murta in entrambe le isole), veniva usato solitamente come spezia per condire i prodotti di cacciagione. L'introduzione della preparazione del mirto in Corsica si ha ad opera dei banditi di Gallura, che cercando riparo nell'isola vicina, portarono con sé ed oltre mare il prezioso liquore, un tempo proibito da editti o pregoni. In tempi recenti e con il Decreto legge n. 173 del 1998articolo 8, comma 1, il mirto di Sardegna è stato inserito nell'elenco ufficiale dei Prodotti Tradizionali.
Diverse fonti fanno risalire le origini di questo liquore alla tradizione popolare dell'Ottocento. Nelle famiglie si produceva il vino di mirto dalla macerazione idroalcolica delle bacche mature. Per la macerazione si utilizzava una miscela di alcool e acqua o, più probabilmente, acquavite e acqua oppure lo stesso vino. Al termine del periodo di macerazione all'estratto si aggiungeva zucchero o miele per dolcificarlo. Il prodotto era destinato all'autoconsumo. Di questa semplice ricetta sono citate delle varianti.

Presupposti della trasformazione


Le caratteristiche organolettiche del liquore si devono al passaggio in soluzione degli antociani presenti nella buccia delle bacche, che conferiscono la colorazione al liquore, dei tannini presenti nella polpa, responsabili del gusto astringente, e di composti volatili che conferiscono l'aroma.

Il processo d'invecchiamento, da alcuni mesi fino al massimo di un anno, è determinante sulle caratteristiche organolettiche del liquore in quanto sia gli antociani sia i tannini subiscono delle trasformazioni. In liquore appena preparato in genere ha una colorazione molto scura, tendente al nero con riflessi marcatamente violacei, e un gusto astringente al palato. Dopo diversi mesi la colorazione si attenua e presenta riflessi che tendono al rosso rubino, il gusto è più armonico e vellutato con un'attenuazione dell'effetto astringente dei tannini. Dopo 1-2 anni le proprietà organolettiche degenerano, soprattutto in riferimento al viraggio della pigmentazione verso il bruno.

Il periodo migliore in cui gustare il liquore va dunque dagli 1-2 mesi dopo la preparazione, per chi apprezza la pigmentazione nero-violacea e il gusto astringente, ai 6-15 mesi per chi apprezza un liquore più amabile e vellutato.
Durante il periodo di maturazione in bottiglia può riscontrarsi la formazione di sospensioni, dovute ai tannini, che rendono torbido il liquore. Il fenomeno è negativo perché deprezza la qualità al senso della vista, tuttavia non influisce sulle altre proprietà organolettiche: una volta versato nel bicchiere, il liquore a contatto con l'aria riacquista la sua limpidezza.

Preparazione casalinga


Lo schema della preparazione casalinga prevede, in sequenza, l'infusione alcolica delle bacche mature per macerazione in alcool etilico a 95°, il recupero dell'estratto alcolico per sgrondatura ed eventuale torchiatura, l'aggiunta a freddo di sciroppo di zucchero o zucchero e miele, l'imbottigliamento e, infine, la maturazione.

Esistono diverse ricette per la preparazione del liquore, pertanto quella che segue è la descrizione di una delle possibili varianti. Le bacche appena raccolte vanno lavate accuratamente in modo da rimuovere la polvere e altre impurità. La presenza di foglie non è un fatto negativo, anzi, conferisce proprietà aromatiche in virtù dei principi attivi volatili contenuti nelle foglie.

Dopo il lavaggio si lasciano appassire le bacche per qualche giorno lasciandole stese in uno strato sottile al riparo dalla polvere. A questo punto si trasferiscono le bacche in contenitori di vetro scuro che andranno colmati con alcool etilico a 95°. La quantità di alcool da impiegare è importante: l'alcool deve appena sommergere completamente le bacche perché una quantità eccessiva fornirebbe un estratto povero di componenti. I contenitori si lasciano esposti alla luce per alcuni giorni, dopo di che vanno riposti in un luogo chiuso per tutto il periodo della macerazione, che deve durare complessivamente circa 40 giorni.
Al termine della macerazione si recupera l'estratto facendo sgrondare le bacche. Con un piccolo torchio si può recuperare un ulteriore quantitativo di estratto per aumentare la resa, tuttavia se si forza eccessivamente la torchiatura si ottiene un liquore con spiccate proprietà tanniche, pertanto si deve scegliere un congruo compromesso fra resa e qualità. L'estratto va filtrato impiegando filtri in carta assorbente.
Nel frattempo si prepara uno sciroppo sciogliendo a caldo lo zucchero in una quantità adeguata di acqua. Si tratta della fase più delicata perché un piccolo errore può ripercuotersi in modo marcato sulle qualità organolettiche del prodotto finale. Il grado di densità dello sciroppo dipende dalla gradazione alcolica e dal grado di dolcificazione desiderati. Le ricette propongono in genere quantitativi medi in peso composti da 300 g di bacche, 300 g di alcool e uno sciroppo ottenuto sciogliendo 250 g di zucchero in 250 g d'acqua, tuttavia è più razionale operare in termini volumetrici facendo un saggio preliminare su un piccolo quantitativo: si prepara uno sciroppo con rapporto acqua e zucchero di 1:1 e si aggiunge a freddo all'estratto alcolico. I rapporti volumetrici fra sciroppo e alcool sono orientativamente i seguenti:
  • per ottenere una gradazione alcolica del 30%: 65 ml di sciroppo aggiunti a 35 ml di estratto;
  • per ottenere una gradazione alcolica del 34%: 60 ml di sciroppo aggiunti a 40 ml di estratto.
Queste indicazioni hanno solo valore orientativo perché per valutarle con esattezza sarebbe necessario determinare la gradazione di partenza dell'estratto alcolico. In ogni modo, una volta effettuato il saggio preliminare si valuta l'opportunità di preparare uno sciroppo più concentrato, se si desidera un liquore più dolce, oppure più diluito se si desidera un liquore più "amaro". Nella valutazione si deve prevedere che il processo di maturazione accentua il sapore dolce perché si attenua l'effetto astringente dei tannini. In ogni modo si tratta di valutazioni soggettive legate molto all'esperienza.
Una volta preparato, il liquore si travasa nelle bottiglie. Per l'imbottigliamento si utilizza in genere la classica bottiglia bordolese da 75 cl oppure la bottiglia lirica da 50 cl, preferibilmente in vetro scuro. Prima di consumare il liquore è consigliabile una conservazione di almeno 1 o 2 mesi per ottenere la maturazione. Durante la conservazione potrebbe essere opportuno effettuare un travaso o una seconda filtrazione per eliminare i sedimenti, ma spesso questa operazione non è necessaria. È del tutto inutile, invece, cercare di eliminare l'eventuale formazione di sospensioni fioccose dai riflessi chiari: si tratta di un fenomeno fisico-chimico che non può essere rimosso con la semplice filtrazione.

fonte:

mercoledì 1 ottobre 2014

oli essenziali

Gli oli essenziali o oli eterici sono prodotti ottenuti per estrazione a partire da materiale vegetale aromatico, ricco cioè in "essenze" (da non confondere dunque con il termine aromatico usato in chimica organica per le strutture altamente insature). Le essenze vengono prodotte dalle piante per molteplici ragioni, e in alcuni casi forse anche come scarti. Le ipotesi più forti vogliono che le essenze svolgano funzione allelopatica, antibiotica e di attrazione degli impollinatori.

Tecnologia di produzione degli oli essenziali


Distillazione a vapore di olio essenziale
Una volta estratti si presentano come sostanze oleose, liquide, volatili e profumate come la pianta da cui provengono.
Sono molto abbondanti in certe famiglie di vegetali e la quantità contenuta in una pianta dipende dalla specie, dal clima e dal tipo di terreno.
Gli oli essenziali come li conosciamo oggi sono un prodotto relativamente moderno. Nonostante il concetto di estrazione in corrente di vapore sia abbastanza antico e probabilmente sia stato sviluppato dai tecnologi arabi più di mille anni fa, questa tecnologia non fu mai utilizzata per isolare gli oli essenziali, bensì per ottenere le acque aromatiche, che erano considerate le vere "essenze" delle piante. Soltanto con il progredire della tecnologia fu possibile isolare con sempre maggior efficienza gli oli essenziali ed iniziare ad utilizzarli.
Possono essere contenuti in varie parti della pianta:
Le metodologie di estrazione accettate nella definizione di olio essenziale sono la distillazione in corrente di vapore (che si distingue poi in distillazione nella quale il materiale è immerso in acqua e distillazione nella quale il materiale è sospeso sopra la fonte di vapore), la spremitura a freddo (delle bucce o epicarpo dei frutti del genere Citrus), e per alcune autorità anche la distillazione a secco o distruttiva (usata ad esempio per ottenere l’olio di cade a partire da Juniperus oxycedrus).
L'olio essenziale è quindi un estratto fitochimico selettivo, nel senso che un particolare gruppo fitochimico è scelto e selettivamente rimosso dalla pianta. Vale la pena sottolineare che l'estratto è altamente selettivo, dato che isola una componente minoritaria della pianta (mediamente dallo 0,01% al 2%). Le essenze contenute nelle piante sono la fonte degli oli essenziali come prodotto, ma non sono completamente sovrapponibili ad essi dal punto di vista chimico, dato che gli oli essenziali contengono solo le molecole volatili alle condizioni di estrazione e idrofobiche (le molecole volatili ed idrofiliche si perdono nelle acque aromatiche).
Gli oli essenziali si trovano in cellule indifferenziate più grosse oppure in tessuti secretori, sono in genere liquidi con odore aromatico, incolori o di colore giallo pallido o giallo arancio. Se contengono composti azulenici possono essere di colore blu o verde-blu. Sono insolubili o pochissimo solubili in acqua, risultano però facilmente trascinabili dal vapor acqueo nonostante il loro alto punto di ebollizione (150-300 °C).

Uso antico degli oli essenziali

Non esiste un uso antico degli oli essenziali, se per antichità ci riferiamo all'antichità classica. I profumi o gli oli profumati di cui si parla nei documenti di origine mesopotamica ed egizia, e poi greco-romana, sono da intendersi come oleoliti (estrazione delle essenze tramite macerazione in olio) o come resine grezze (ad esempio incensomirrasandalo, ecc.). Gli utilizzi medico-religiosi o razionali delle piante aromatiche in antichità si riferiscono all'utilizzo della pianta in toto e non all'olio essenziale.

Uso moderno degli oli essenziali

http://it.wikipedia.org/wiki/Olio_essenzialeLa somministrazione per bocca è comunque sconsigliata nella prima infanzia, in gravidanza, allattamento e nei soggetti affetti da gravi epatopatie e/o insufficienze renali. Particolare attenzione inoltre andrà posta nella somministrazione contemporanea con farmaci interferenti col sistema enzimatico Citocromo P450, per possibili reazioni avverse indesiderate.Attenzione: gli oli essenziali sono miscele complesse e concentrate di sostanze chimiche. L'uso senza la supervisione di un medico può essere pericoloso. L'applicazione di oli essenziali puri sulla pelle può portare a infiammazioni e lesioni della cute e la loro ingestione (a seconda del tipo di olio e della quantità ingerita) è potenzialmente mortale. Bisogna, infatti, considerare che l'indice terapeutico degli oli essenziali, ovvero il rapporto tra la dose tossica e quella terapeutica, è molto basso e ciò significa che anche piccoli aumenti del dosaggio terapeutico possono produrre fenomeni tossici di varia gravità. [1] [2]

Qualità degli oli essenziali

La qualità di un olio essenziale (come di qualsiasi estratto di piante medicinali) dipende della qualità delle piante usate e dalle capacità del distillatore. Un metro di giudizio parziale, ma che ci può dare una prima indicazione, è la qualità dell’etichettatura. Una etichettatura completa e professionale dovrebbe comprendere:
  • nome botanico (e nome comune)
  • eventuale caratterizzazione chemotipica
  • parte della pianta usata
  • luogo di raccolta
  • metodo di estrazione
  • data di estrazione
  • data di scadenza
  • eventuali operazioni effettuate sull’olio grezzo (deterpenazione, ecc.)
  • cautele (uso interno, bambini, gravidanza, ecc.)
In caso di dubbio, il vostro fornitore dovrebbe essere in grado di mostrarvi documentazione che attesti l’originalità del prodotto.
Un'analisi effettuata in laboratorio per valutare l'efficacia di un olio essenziale è l'aromatogramma.